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Più prezioso dell’oro: lo zafferano italiano

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Più prezioso dell’oro: lo zafferano italiano

di Devis Bellucci | @devisbellucci

Anche il simpatico topo-chef Remy, protagonista del film di animazione [i]Ratatouille[/i], lo definiva eccellente. È lo Zafferano dell’Aquila, una delle spezie più pregiate, apprezzata dai gastronomi stellati e nota a tutti sin da bambini per il risotto alla milanese. Una spezia che costa più dell’oro. Ricavata dagli stigmi dei fiori di Crocus sativus, occorrono fino a 250.000 fiori e centinaia di ore di lavoro per produrne un chilogrammo. Per questo lo chiamano anche [b]oro rosso di Navelli[/b], dal nome della località abruzzese attorno alla quale viene prodotto dal tardo medio evo. Fu allora che un monaco, originario della zona, trafugò dalla Spagna alcuni bulbi della pianta con l’intento di provare a coltivarla nel proprio paese. In questo caso è vero il detto: Rubare ai ricchi per dare ai poveri. Lo zafferano trovò infatti nell’altipiano di Navelli un habitat molto favorevole e la coltura si estese, dando vita a un commercio favoloso, che integrò la misera economia locale basata sull’allevamento delle pecore. La produzione continuò fino alla crisi degli anni ’60, quando tanti contadini aquilani abbandonarono la coltura, rovinati dall’import di zafferano dell’Africa del Nord, seppur di bassa qualità. La consacrazione dell’oro di Navelli si è avuta solo nel 2005, anno in cui la Comunità Europea ha riconosciuto la Denominazione di Origine Protetta “Zafferano dell’Aquila”, celebrandone così tutta l’eccellenza.

L’altipiano di Navelli e la produzione dello zafferano

A mezzogiorno la piana, riarsa sotto al sole, è quasi color della pietra. Si sale tra eremi che sembrano scogli in mezzo ai prati, rapiti dalla vista di qualche castello a pezzi, sulle cime dei monti. Ci si ferma, arrivano le nuvole, in un istante sei in mezzo alla nebbia. Qui è zona di tratturi, battuta in passato dalle transumanze. Fuori dai centri abitati si incontrano antiche pievi come Santa Maria in Cerulis, costruita intorno all’XI secolo, che conserva ancora il porticato dove alloggiavano i pastori in transito con il gregge. Venendo in ottobre, vedremmo l’ampio altipiano di Navelli coperto di fiori violetti. La seconda quindicina del mese è il momento più atteso: quello della raccolta. Si procede all’alba, prima che i fiori si aprano, e a mano. Uno per uno. Poi, da ogni fiore, si toglie il cuore: i tre stigmi rossi, carichi di zafferano. L’ultima fase è la tostatura, quando si sistemano gli stigmi in un setaccio per poi appenderli nel camino, sopra una brace di quercia o mandorlo. È un’opera paziente e umile, per lo più condotta da persone in là con gli anni, dove si passa la maggior parte del tempo chini con la schiena. Con l’autunno si chiude il ciclo annuale di produzione. L’attività riprende in primavera, con l’aratura e la fertilizzazione del terreno. Nel mese di agosto vengono trapiantati i bulbi, che germoglieranno con le prime piogge di settembre.

I borghi dello zafferano

È un piacevole itinerario alla scoperta dei luoghi in cui viene prodotto lo Zafferano DOP dell’Aquila. Si toccano diversi borghi medioevali, tra cui appunto Navelli, Barisciano, Prata d’Ansidonia e alcune delle chiese legate dal filo della transumanza, inserite all’interno del Tratturo Magno tra i pascoli del Gran Sasso e quelli del Tavoliere pugliese. Meritano una sosta il bellissimo complesso abbaziale di Bominaco formato dalle chiese di San Pellegrino, decorata con affreschi del secolo XIII, e dalla romanica S. Maria Assunta. Nella piana sottostante a Civitaretenga, presso Navelli, da vedere anche la chiesa campestre di Santa Maria delle Grazie, edificata a riparo e conforto dei pastori. Nel mese di agosto si svolge a Navelli la tradizionale sagra dei ceci e dello zafferano, con la degustazione di piatti tipici, unita al Palio degli Asini. Nato nel 1980, il Palio vuole essere una parodia del più blasonato Palio di Siena. I fantini rappresentanti delle diverse contrade si sfidano in sella agli asini, preceduti da una sfilata di carri con figuranti in costume tipico e sbandieratori.

Rocca Calascio, Il castello amato dai registi

Se dopo un buon pranzo in una locanda desideriamo nutrire anche lo spirito, saliamo a Rocca Calascio, a 1500 metri di altezza. Il castello in pietra bianca, che domina l’altopiano di Navelli e la valle di Tirino, risale all’anno mille e venne costruito per controllare i tratturi impiegati durante la transumanza. Nelle vicinanze della rocca, un borgo disabitato e la bella chiesetta di Santa Maria della Pietà; la chiesa venne eretta, secondo la leggenda, per festeggiare la vittoria della popolazione su una banda di briganti che infestava la zona. Il complesso di Rocca Calascio è stato utilizzato come ambientazione di diversi film, tra cui Il Nome della Rosa con Sean Connery e Lady Hawke di Richard Donner, interpretato tra gli altri da Michelle Pfeiffer. Più di recente, la rocca compare in alcune scene del film The American, con George Clooney. Alla fine degli anni ’60, invece, il regista Romano Scavolini dedicò a questi luoghi un documentario dal nome evocativo: Nel silenzio dei sassi. Venendoci in autunno, probabilmente, non troveremo nessuno e forse riusciremo a capire anche noi che cosa racconti il silenzio della pietra, in questi luoghi che si sono spopolati nel tempo. Più a valle, sull’altipiano, si andrà intanto rinnovando il legame tra uomo e natura, coi campi di velluto viola che ancora una volta accarezzano il profilo elegante di Navelli, aggrappato alla sua montagna.

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